Sogna, ragazzo, sogna

Cara E,
abbiamo saputo che ultimamente ti stai chiedendo chi lasci davvero i regali nei cassettini del tuo calendario dell’avvento, perché qualcuno ha insinuato il dubbio. È una cosa triste. Sai, ogni volta che un bambino smette di credere in noi, non riusciamo più a entrare nella sua casa. Sappiamo che ti stai chiedendo perché veniamo a farti visita da così tanti anni nel periodo di Natale e perché, allo stesso tempo, non abbiamo mai visitato le case dei tuoi amici. Purtroppo non è una cosa che scegliamo noi. I bambini del mondo scelgono se aprirci i loro cuori, che sono le porte attraverso le quali troviamo la luce per muoverci al buio delle stanze, le chiavi grazie alle quali apriamo portoni, palazzi, fortini moderni. Tu hai scelto di credere, e questo ha creato la strada per arrivare fino al tuo calendario.
Chi c’è davvero dietro quel cioccolato, quelle caramelle, quei piccoli doni colorati che scopri ogni mattina al tuo risveglio è una domanda che solamente chi ha il cuore fermo può farsi. Cosa è vero? Cosa non lo è? Non fartelo mai spiegare da chi guarda il mondo solo attraverso gli occhi. Perché ha deliberatamente deciso di perdere una porzione di realtà che non sarà mai più in grado di afferrare.
Credi invece al tuo cuore e non dar retta a chi prova a condizionare i tuoi sogni. Il tuo cuore ha sempre ragione e tutte le favole, proprio tutte, sono vere. Sono vere finché tu le tieni in vita. 
Crescerai, stai già crescendo, diventerai presto una bambina matura, poi un’adolescente e poi una giovane donna. Le favole non ti abbandoneranno, cresceranno con te, trasformandosi con te. Un po’ alla volta si allontaneranno dalla fantasia diventando emozione, saranno una parte della tua essenza, la maniera in cui penserai e farai le cose di ogni giorno. 
Le tue favole di ieri e di oggi diventeranno reali; la forza di cui avrai bisogno, la sensibilità che ti servirà per voler bene, amare. Allora potrai smettere di credere, ma non sarà più importante. Perché la magia e la sorpresa ti avranno già resa una persona migliore. Troverai la tua lettura di ogni favola e ogni riga, ogni istante delle storie che avrai abitato diventerà metafora di bellezza, giustizia, coraggio. Simbolo del tuo saper vivere il mondo senza allontanarti dall’azzurro di tutte le cose possibili. Tu sarai dentro ogni fiaba, sarai il lupo e la principessa, la pianta di fagioli più alta che si sia mai vista, sarai un cane capace di volare e forse anche una fatina dispettosa, sarai tutti loro. 
Sarai capace di credere, saprai vedere una soluzione per tutte le cose, un rimedio per ogni tristezza, un piccolo miracolo dentro ogni gesto.
Saranno così tante e belle le cose che ti capiteranno da non riuscire più a distinguere quelle vere da quelle magiche. Ma cosa importa. Tutte le favole sono magiche. Tutte le favole sono possibili. Allora sono possibili anche le magie e se sono possibili sono vere. 
Non saranno le bacchette o le formule a farle capitare, sarai tu. Saranno le persone che il tuo cuore ha scelto, sarà tutta la fame d’incanto che stai nutrendo adesso e che non ti stancherai mai di alimentare.
Hai il diritto di continuare a crederci. E noi ti saremo sempre grati per averci ospitato e per continuare a farci vivere nel tuo cuore. Solo tu hai reso possibile tutto questo. Sogna più forte che puoi, chiudi gli occhi e resta in ascolto: li senti i nostri passetti felpati?

Ti vogliamo bene.
I tuoi amati Elfi  

Cuori

Questa bambina non sei tu, ma potresti esserlo, forse lo sei davvero, anche se nella mia immaginazione che si confonde con la memoria, questa bambina ha i capelli lisci e bruni, la carnagione molto più scura della tua e due occhi profondissimi. Ha avuto un’infanzia complicata. Un po’ ce l’abbiamo avuta tutti. Lei però ogni giorno che vive trasforma la sofferenza in perle, con le quali fa una collana lunga lunga che quando sarà abbastanza grande per metterla al collo, potrà avvolgere due, tre volte e indossare con disinvoltura, senza eleganza e senza importanza, come si portano due Stan Smith ai piedi, di quelle bianche con la lingua rossa all’altezza dei talloni. 
Non le diamo un nome, perché non ha alcuna rilevanza e perché questa bambina odia apparire. Odia pure le fotografie e anche questo un po’ lo avete in comune, anche se tu te le lasci fare ma più per farmi contento che per reale trasporto. Ha un fardello, grande come una casa, una casa senza le finestre, senza le porte, come quella della canzoncina che canti tu. Lei potrebbe rimanerci dentro, incastrata per tutta la vita. Ma ha una tecnica, un modo tutto suo per entrare e uscire. E alla lunga stare dentro o fuori è diventato sopportabile, poi gestibile, poi ancora naturale. E dentro tutto è usuale, anche se scomodo. Non fa però paura, è solo un posto come un altro e non è casa. Casa è ovunque mette i suoi piedi scalzi. E lei ha la tendenza a togliersi le scarpe ogni volta che può, un po’ dove capita. Poggia la pianta nuda del piede sul pavimento, sulla strada, sulla sabbia e quel posto diventa casa. Immaginati che questa bambina abbia un segreto. Un segreto che le si legge in faccia. Uno di quei segreti che si imparano in anni di solitudine, di amore così pesante da sopportare eppure presente, sempre presente, da non sapere dove metterselo. Vive una vita che è sempre e solo sua, nella quale diventa ogni giorno più grande pur restando piccola. Il tempo scorre ma lei non ha voglia di riacchiapparlo, correggerlo, scuoterlo, come capita a tutti di voler fare. Lei lo sa vivere e lo vive diventando la donna che sarà pur non essendo mai la donna che è. Vederla, in ogni istante di questa vita, è uno spettacolo senza precedenti. Te la devi immaginare, in un fotogramma qualunque di questa esistenza, mentre cammina scalza, le spalle larghe per spalancare la gabbia toracica e far entrare più aria possibile, andare avanti a saltelli che somigliano a passi di danza leggeri. Puoi vederla come vuoi anche se so già la immaginerai come una principessa, perché le principesse entrano sempre, inevitabilmente, dentro le tue storie. Allora facciamo davvero che è una principessa e un po’ davvero lo è. Pocahontas, potrebbe essere lei. E se è una principessa vuol dire che in questa storia deve comparire anche un principe. E facciamo anche che compaia. Eccolo lì. Solo che non è un principe qualunque, di quelli a cavallo e vestiti d’azzurro. Questo è un principe poco principesco. Più un pirata o un bucaniere, ma deve essere principe altrimenti questa storia non funzionerebbe. E allora sia principe. I due si incontrano e lei capisce che ha trovato il contenitore nel quale versare i litri di corallo che porta con sé da sempre. Ma lui distratto com’è, ha lasciato la vasca senza tappo e tutto ciò che ci versi finisce giù per lo scarico. È uno spreco enorme, uno di quegli sfregi così pesanti da farti perdere fiducia nell’umanità. Eppure questa è una favola, abbiamo detto così. E nelle favole accade sempre qualcosa che stravolge tutto, proprio quando tutto sembrava perduto. Una caduta da cavallo, un incidente di percorso, due briganti che afferrano il nostro principe di notte al buio e lo riempiono di botte.  Non so esattamente cosa. Forse solo qualcosa che accade, senza che nessuno capisca, solo accade. Lei è lì accanto a lui, gli tende la mano e, per la prima volta, sussurra il suo segreto. Semplice e leggero come un respiro, gli dice “muoiono tutte le brutte cose di tutti i giorni”. Il principe riapre gli occhi e gli pare sia la prima volta che guarda in faccia il mondo, si sente come risvegliarsi da un torpore che lo teneva fermo da sempre. È sbalordito, si strofina gli occhi e adesso sa solo che è vero. Immaginati che in quel momento appaia tra le sue mani uno strumento a fiato. Forse lo teneva nello zaino. Diciamo un clarinetto e uno Smetana, facciamo che è Smetana. Il punto è che questo principe su un pentagramma non distinguerebbe un semitono da una chiave di violino. Eppure improvvisamente ha poggiato i polpastrelli sui tasti e sta suonando la Moldava. Così. So che non devo convincerti sia vero. Tu lo sai già, perché per te, come per lei, certe cose non si dicono, si sentono, non è vero? 

Ti ho raccontato questa storia perché ho scoperto solo oggi che certe declinazioni che nelle favole sono quasi ovvie per me non lo sono mai state. E allora ho deciso di farmi insegnare anche questa conseguenza logica da te che credi profondamente nelle favole: se ogni cosa è possibile allora ogni cosa può diventare pure reale, anche quando è soltanto disegnata dall’immaginazione. E io ora sento quella musica. La sento davvero. Prima era solo accennata, ora è una sinfonia fortissima e se chiudo gli occhi vedo proprio tutto: gli alberi, le sorgenti, il bosco, le cascate, le ninfe, le montagne, gli animali che giocano a rincorrersi ed è un paesaggio pazzesco. 

Favole al telefono

C’è una cosa che non ti ho mai raccontato. È una cosa di cui non so se vergognarmi. Durante il mio ultimo periodo a casa con voi ero così confuso da non sapere cosa sarebbe successo nell’intervallo di pochi minuti. Vivevo una vita sospesa, come in attesa che accadesse qualcosa o che qualcun altro potesse decidere per me la cosa giusta da fare.
Non te lo ricorderai perché eri troppo piccola o forse un giorno, sorprendendomi per l’ennesima volta, mi racconterai di come hai vissuto quei giorni terribili.
Durante quelle sere, ti mettevo sempre io a letto. Tu sceglievi meticolosamente un libro dalla libreria e io mi sedevo sulla poltrona e cominciavo a leggere.

Ecco, la cosa che volevo raccontarti è questa. In quelle sere prima di dormire io registravo la mia voce che leggeva le tue storie preferite. Non so esattamente per quale ragione. Certo non avrei immaginato che un giorno quelle registrazioni mi avrebbero fatto compagnia.
Nel tempo questa cosa era finita chissà dove nei ricordi e l’avevo quasi rimossa. Me ne sono ricordato improvvisamente qualche giorno fa.
Stavo facendo un trekking sui Lucretili e mentre percorrevo gli ultimi 2 chilometri verso la vetta del Monte Gennaro, nel folto di un tratto di foresta, mi è venuta improvvisamente in mente.
Ho percorso l’ultimo pezzo arrancando un po’ e accusando un dolore lato alla gamba sinistra ma sono arrivato in cima senza troppa fatica.
In vetta non c’era nessuno. Mi sono arrampicato sul cubo di sassi e cemento che sorregge la croce di ferro e seduto sul ciglio. C’era vento e anche se faceva caldo si stava bene. Con le gambe penzoloni e l’orizzonte sterminato tutto intorno, ho rovistato nello zaino per trovare il telefono. Mi sono ficcato le cuffie nelle orecchie e, scalando una selva di messaggi vocali mai inviati, ho finalmente trovato i file che cercavo e premuto play su “Zeb”.

La storia è incentrata su una piccola zebra che va al campo estivo per la prima volta nella sua vita. È sconsolata e triste perché dovrà lasciare i suoi genitori e teme di non farcela a stargli lontano per così tanto tempo. La mamma e il papà hanno allora l’idea di imprimere i loro baci sui dei foglietti che arrotolano come caramelle e ficcano dentro una scatola. Così, ogni volta che Zeb sarà triste, potrà tirare fuori dalla scatola un bacio-caramella e sentirsi meno lontano da casa. La cosa funziona a tal punto che durante la prima notte di viaggio, non solo Zeb ma l’intera compagnia di zebre usa i baci-caramella per consolarsi e sopravvivere alla malinconia.
La mia voce nelle cuffie legge l’ultima frase del libro e poi ti dice “Adesso si dorme” e la tua risponde “ma è già finita? Era troppo corta”, poi la registrazione si interrompe.

Mi sfilo le cuffie dalle orecchie. Il vento mi soffia in faccia ricordi e tristezza. Chissà a chi apparteneva la voce che leggeva quella favola, chissà che pensieri si portava dietro. Pur avendo quasi dimenticato quella favola, devo aver interiorizzato a tal punto i suoi precetti da farli miei. Non so nemmeno dire quante volte in questi due anni ti ho sentita dire “papà quando sono con te mi manca mamma e quando sono con lei mi manchi tu”. Una domanda alla quale rispondo sempre allo stesso modo: anche tu mi manchi tesoro, ma nei pensieri di mamma e papà tu ci sei sempre, anche quando non siamo con te. Esattamente come noi siamo sempre nei tuoi, non lo scordare mai.