Cast away

Eccomi qua. 41 anni suonati, la barba di Tom Hanks in Cast Away e lo sguardo del quindicenne che resta serio e strizza gli occhi per sembrare più grande. E tu, dall’alto dei tuoi 9, dall’altra parte del mondo, senza di me.
Nelle poche foto arrivate dal tuo gruppo scout, hai la faccia sbattuta anche se sorridi. Ho provato a ingrandire ma ho trovato solo pixel confusi. Volevo vedere se avevi le occhiaie, segno che non eri riuscita a dormire o che avevi pianto. Invece non ho saputo niente per tutto questo interminabile tempo trascorso dal momento in cui sei scomparsa in autobus a ora, la mattina del giorno in cui tornerai.

Credo di aver aggiornato dalle 80 alle 100 volte al giorno la pagina facebook del tuo gruppo, osservato la mia pancia comprimersi al peso dell’ansia che disegnava ferite, maltrattamenti e prigioni nelle quali eri intrappolata, guardato compulsivamente il calendario, recitato come un mantra una filastrocca che diceva “mai più, non ce la faccio, chi me l’ha fatto fare”. E alla fine è arrivata questa giornata. Tu come ti senti? Probabilmente sarai più grande quando scenderai dall’autobus. Ti scioglierai in un pianto e ti concentrerai sulle “torture” che sentirai d’aver subito. Solo lentamente, nei prossimi giorni, rivelerai i momenti di felicità e spensieratezza che hanno riempito queste dieci giornate assurde e inconcepibili. Allora scoprirai che hai fatto tutto da sola: partire, stare, rimanere, resistere, divertirti, stringere nuove amicizie, rinsaldare quelle preesistenti e sentirti in qualche modo grande e importante.

Ho avuto paura. Paura potessi farti male, perderti, persino morire. Anche se alla partenza ti avevo elencato una gran quantità di “vedrai”.  E tu adesso stai tornando a casa. Riesco a percepire l’emozione di questa mattina, mentre raccogli le tue cose sparse per la stanza e incredula ripeti tra te e te “ce l’ho fatta, ce l’ho fatta”. Ti capiterà tante altre volte nella vita di volere, senza saperlo, partire e ogni volta sentirai di essere sul punto di non poterne più e di dover lasciar perdere. A volte capiterà anche di farlo davvero. Raccogliere tutto e andarsene prima della fine o prima ancora dell’inizio. Spero però che la tua vita sarà piena di cose portate a termine, avventure che avranno il tuo nome e il tuo orgoglio, plasmate con la forza del tuo coraggio. 

Qualche anno prima che nascessi ero stato assunto da una compagnia di geoispezioni marine. Un lavoretto estivo da fare a bordo di una nave in mare aperto. Un paio di mesi al massimo nei quali avrei usato la strumentazione di bordo per dare indicazioni alle persone che avrebbero lavorato sotto la pancia della nave. La società che mi aveva assunto era dell’amico di un mio amico. Mi avevano addestrato, fatto fare un corso di salvataggio in mare e detto e dato tutto quello che c’era da sapere e avere. Mi vedevo come Corto Maltese, sulla poppa della nave, quando a sera il lavoro era finito e me ne stavo a osservare le stelle e riempirmi il naso d’aria di mare e libertà. Eppure a due giorni dalla partenza tutto l’entusiasmo che avevo s’era sciolto come una pasticca di vitamine nell’acqua. Era rimasta solo la paura: di fallire e rimanere solo. E nessuno che mi dicesse “sì che ce la fai”. Una paura così forte contro la quale nulla potei. 
A distanza di tanti anni, porto ancora dentro i segni di quella battaglia persa. Sono graffi di orgoglio e rimpianto che hanno scavato un solco indelebile dentro al ricordo. 
Ci ho pensato tante volte ultimamente. Ci pensavo anche mentre mi imploravi di crederti, ché non ce la facevi a partire, davvero. Io ti rispondevo che sarei stato un pessimo padre se ti avessi creduto. E ora so che avevo ragione perché ho ascoltato la voce che veniva da dentro al posto dei lamenti che arrivavano alle orecchie. 

Sei stata brava e forte e, nonostante tutto il dolore pagato con la moneta della lontananza e dell’ansia, questa volta ho vinto anch’io, insieme a te. Bentornata a casa, amore mio.