Buon compleanno

Un giorno capirai tutto questo. Oppure sarà solo stato tempo trascorso e ne avrai completamente perso la fatica, il sudore, lo stress, l’ansia, la pesantezza. Quel giorno ricorderai i giorni della tua infanzia e – conoscendoti – dirai che poteva andare meglio ma tutto sommato è andata bene. Sei fatta così tu: vuoi sempre qualcosa che non hai e poi, di tanto in tanto, ti fermi, ti consoli e ritorni felice. 
Tra qualche minuto mi chiamerai. Ti ho spiegato come accendere Teamviewer, inviarmi tramite il telefono di tua nonna i due codici che serviranno a me per controllare il computer di fronte al quale sarai seduta. Io imposterò la videolezione e tu ti stupirai che io, da casa, possa controllare il tuo computer. Iniziata la lezione ti dirò che ti lascio sola ma non lo farò. Mentre lavoro, continuerò a tenere di sottofondo la vostra lezione e, di tanto in tanto, quando sentirò fare il tuo nome, aguzzerò le orecchie per sentire la tua voce che risponde a quella della maestra.
Hai 9 anni oggi. Chissà se troverai il coraggio di dirlo alla maestra e alla classe per farti omaggiare della canzoncina di buon compleanno. 

Ti ho comprato un binocolo, ma ancora non lo sai. Un binocolo ripiegabile, facile da infilare in tasca per quando esci con gli scout. E un costume da Hermione che potrai usare quando con le tue amiche interpretate i personaggi di Harry Potter. Ti ho comprato anche un kit da pasticceria, per decorare cupcakes. È da parte di Agata. Così troverai scritto nel biglietto. Ci troverai scritto anche che ti vuole tanto bene. È il regalo che avrei voluto farti io. Da quando quel giorno da Ikea hai deciso di non comprare un giocattolo ma una spatola in silicone per avviare un tuo personale set da cucina, da ampliare di volta in volta con un pezzo nuovo. Mi avevi commosso e ho intravisto una passione per qualcosa di tuo che certo non ti abbiamo trasmesso né io né tua madre e che invece ti avvicina così tanto e così forte a una cosa che Agata ha dentro innata. 
Agata non sa del regalo. Probabilmente si sarebbe arrabbiata se gli avessi raccontato di questa iniziativa. “Ci penso io”, avrebbe detto, infilandosi in una di quelle spirali che conosce a memoria e dalle quali esce dopo giorni tutta ammaccata. Probabilmente, sarebbe stato solo il la per farle dire ancora che non cambierà mai niente, resteremo fermi qui per sempre e che non ne può quasi più. Una volta la contrastavo. Mi impelagavo in discorsi complicati per dimostrare il teorema del cambiamento, dell’evoluzione, del cammino. Ora ho smesso. Lei non sa nemmeno questo: a volte mi sento così stanco e avvilito, così sconfitto. Raccolgo tutte le briciole di entusiasmo che ho in corpo e le metto dentro una proposta di un pic-nic, una passeggiata, un gelato. Incasso il tuo scetticismo, la freddezza e dentro penso che andrà bene, deve andar bene. Invece quando ci incontriamo tu non la guardi, le stai lontano sia che lei ti cerchi per abbracciarti, baciarti, sia che lei ti dia distanza in cambio della tua. Io sono in mezzo, nel tentativo di mediare. Di dare a entrambe le attenzioni e l’amore che vi spettano. Ma nel dare riesco solo a togliere, da una parte e dall’altra. 

Forse Agata ha ragione e non cambierà davvero mai niente. Sarebbe così facile accettare questa prospettiva se non avessimo mai visto e provato l’opposto. Quando prima ancora di entrare in casa mi sfilavi il telefono e passavi un’ora a raccontarle la tua giornata. È così difficile riconoscere che siamo gli stessi di allora, soltanto consumati dal tempo e dall’usura delle nostre paure. 
Il regalo più bello di questo compleanno te lo avrà fatto Agata, la stessa che ti ha lasciato un sacchetto di patatine di Barbie dentro la dispensa, che ti ha riempito la stanza di stelle luminose e di cuori, che dimenticava tutto il resto per leggerti ancora un capitolo de Le Streghe al telefono, che ci ha insegnato a districare i capelli senza farti male, che in pieno lockdown ha sfidato tutto per portarti le lasagne e una torta, che quel giorno da Ikea si buttava con la rincorsa insieme a te con su tutti i letti per provarli.
Dove c’è bene non può esserci male. Non riesco a pensare il contrario. E se ci pensi, qualunque cosa succeda è solo per amore. È per amore che resistiamo ancora all’usura, lo stesso bisogno d’amore che ti porta al contrasto e alla paura. Raccordare questo amore è l’impresa più complicata che abbia mai affrontato eppure non riesco a smettere di crederci. Perché l’amore è dentro i gesti, dentro le parole, dentro i pensieri di ogni attimo della nostra esistenza. È per amore tuo e suo che cedo e trasformo uno stupido regalo, affinché tu possa a tua volta intravedere un blocco unico d’amore che ti viene incontro e ricambiarlo. È per amore tuo e mio che Agata incassa i tuoi no così dolorosi. Posso solo immaginare quanto sia complicato per te, per lei. Eppure un giorno sapremo tutti e tre che esserci è stato il più grande atto d’amore e fede che abbiamo mai fatto e ne sarà valsa la pena.

Promettimi una vita bella

Abbiamo finito di leggere Harry Potter e la Pietra Filosofale. 
L’abbiamo iniziato qualche mese fa e da subito siamo rimasti intrappolati nelle maglie della storia. A puntate, di settimana in settimana, ci siamo inoltrati nel racconto, scoprendoci tristi ogni volta che siamo stati costretti a chiudere il mondo magico del libro per andarcene a dormire. Rimandare alla settimana successiva la lettura è stata spesso una vera tortura. Tuttavia, il racconto ci ha tenuti inchiodati per tante settimane e ci chiamava, come fossimo obbligati a continuare perché Harry, Hermione e Ron potessero portare a conclusione la loro avventura.
Non abbiamo abbandonato il libro nemmeno quando la tua amica di scuola ha provato a spoilerare qualche particolare di questa storia o di quelle che compongono la restante saga. Non lo abbiamo lasciato quando tua madre ti ha regalato il cofanetto dei primi quattro film e tu, combattuta, hai deciso di vedere il primo, e poi lo hai rivisto il giorno dopo e il giorno dopo ancora, mentre ci mancavano forse soltanto tre capitoli per concludere la nostra storia. Sai, ho pensato sarebbe finita lì. Invece sei tornata da me dicendomi “io so delle cose” con un sorrisetto furbo, e hai voluto, preteso, nonostante tutto, continuare a leggere il nostro libro, non tanto perché ti piacesse continuare a galleggiare in quella storia o perché volessi farmi contento, perché eri davvero convinta che leggere avrebbe potuto rivelarti scoperte sensazionali ed emozioni del tutto nuove, comunque nuove. E perché tu sai, sai già che un libro non è solo la storia che racconta.

Allora ti ho proposto di fare come faccio sempre quando sto per finire un romanzo che mi piace tanto. Smetto la lettura al penultimo capitolo e mi lascio il rash finale per un momento nuovo, pulito, lontano da tutto il resto. Così, la sera abbiamo salutato Harry e i suoi amici mentre erano nella stanza della botola e il giorno successivo, subito dopo pranzo, ci siamo sdraiati sul letto e stretti l’uno all’altra ci siamo lasciati riprendere per mano e accompagnare fino alla fine. Mentre leggevo facevo una fatica tremenda per continuare. Mi interrompevo. Fingevo pause inesistenti. Mi schiarivo la voce, per riprendere fiato e sciogliere quel nodo alla gola di emozione e lacrime. Tu eri addosso a me, io usavo la mano sinistra per stringerti, per sentire che eravamo insieme, un libro ci teneva nello stesso posto, sopra lo stesso materasso e in un mondo che è stato di molti ma a me sembrava solo nostro. Noi due, ancorati alla più grande passione che abbiamo in comune.

Qualche anno fa ho letto un libro di Pennac. Parlava di come instillare la passione per le storie nei figli. Avevo poco più di vent’anni, nessunissima idea di avere figli nella vita. Eppure misi mentalmente da parte quelle pagine, promettendomi che il giorno in cui avessi avuto un bambino l’avrei riaperto. Non l’ho mai riletto ma ricordo benissimo il racconto; leggi a tuo figlio, diceva. Leggi finché puoi e un giorno ti strapperà di mano il libro perché non gli basterà più starti ad aspettare e vorrà continuare da solo, per sé, finché ne avrà la forza. Ci ho ripensato ieri, quando ti ho trovata al telefono che rileggevi ad alta voce Piccole donne crescono ad Agata che ti ascoltava rapita. Solo tu, lei, il suono della tua voce sicura e una storia nella quale non vuoi smettere di galleggiare. Ho appoggiato una spalla alla porta e pensato quanto fossi bella e quanto fosse meraviglioso il nostro mondo.

Credo di aver versato più lacrime per i libri che ho letto che per i dolori che realmente ho provato fino a oggi nella vita. Ho amato e odiato tantissimi racconti, molti dei quali, sta tranquilla, ti rifilerò presto. In questi giorni di paura ansia e insicurezza, mi sento come un vecchio al tramonto dei sui giorni che si commuove per molto poco. Piango al telefono con tua nonna, senza rendermene conto, mi muoiono le parole in gola quando le sento dire “non appena potrete ritornare”. Piango con Harry Potter, piango con le notizie alla radio, piango mentre costruiamo un palazzo di 3 piani con i Lego o avvitiamo i pezzi di un Meccano, piango mentre ti guardo metterti il pigiama o quando me ne sto solitario davanti al computer e d’improvviso mi cingi il collo con le braccia. Piango quando ritrovo sulla scrivania il tuo disegno del mare, con i pesci, le alghe, un gabbiano, il sole che affoga nell’acqua. Piango se penso che Agata sta finendo il suo libro e piango pensando al giorno in cui io lo finirò. Piango impastando una pizza, guardando i video della Curva allo stadio, contemplando Testaccio deserta dalla finestra. Dentro tutto questo ci vedo una logica così alta, così forte, così chiara che non posso non piangere e allora piango.