Piangi Roma

A Roma fa caldo e la notte si fa fatica a dormire. Per me che tengo le imposte della finestra chiuse è anche peggio. Ho paura che entri un geco in casa e la paura vince sul caldo e il bisogno di areazione. Non so se tu riesci a percepirla. Ogni tanto, quando siamo per strada di sera, ti indico un geco sulle pareti dei palazzi e ti dico “guarda!”. Lo dico forse più a me che a te, per sembrarti coraggioso e senza paura. Tu osservi la bestia ma non ti avvicini mai. A volte dici “che schifo!”, qualche altra “come è ciccione”, ma non ho ancora capito se ti terrorizzano come terrorizzano me oppure se tutto sommato ti lasciano indifferente. Una delle ultime imprese compiute in casa vostra fu proprio catturare un geco che si era intrufolato in casa. Tua madre, che ne ha un timore forse anche superiore al mio, lo vide attraversare la parete dietro alla televisione. Tu eri già a letto che dormivi. Io non lo vidi e provai a rassicurarla, convincendola che l’aveva sognato. Quando però lo vidi anch’io fu il panico. Due adulti che saltano sul divano per paura di una creatura piccola e innocua però viscida e disgustosa. Il mio terrore principale è sempre stato trovarmelo nel letto, sentire le sue zampette da rettile che percorrono le mie gambe, fino a infilarsi sotto la t-shirt e poi chissà salirmi sul viso.

Passai più di due ore con una scatola di scarpe vuota in mano, sentendomi Willy il coyote che tenta di catturare Beep-Beep che però è troppo veloce, furbo e praticamente imprendibile. Alla fine però riuscii a catturarlo, smontando mezza casa e incastrandolo su una parete del corridoio, dietro agli scaffali con i tuoi giocattoli. Queste cose non te le ho mai raccontate per non sembrarti debole e soprattutto per non trasmetterti paure. Nella mia mente ho sempre desiderato che tu diventassi una di quelle bambine che vanno a caccia di lucertole, le catturano a mani nude e le osservano da vicino con la perizia di uno zoologo. Naturalmente tu non diventerai mai ciò che io o qualcun altro sogniamo o abbiamo sognato. Per dire che ieri notte ero a letto che continuavo a rigirarmi per trovare una posizione per dormire ed ero forse in quello stadio in cui stai già dormendo ma sei ancora cosciente. Poi ad un tratto suona il telefono, mi alzo di scatto spaventato, lo afferro e leggo il nome di tua madre sullo schermo. Guardo l’ora: mezzanotte e mezza. Mi affretto a rispondere. Dall’altra parte del telefono sento solo silenzio. Ripeto “pronto”, poi il nome di tua madre, fino a quando sento la tua vocina dirmi “papà… mi manchi tanto”.

Tu e tua madre siete per qualche giorno in vacanza a Barcellona. Andate in giro, ogni tanto mi inviate foto in cui sembrate rilassate e divertite. C’eravamo già sentiti almeno due volte durante la giornata, mi avevi raccontato di aver visitato l’acquario, di un pesce che sembrava una conchiglia, del taxi, del caldo, del gelato spagnolo che è meno buono di quello di Roma. In nessuno di questi momenti mi eri sembrata triste o che stessi pensando a me. Eppure nel cuore della notte hai aperto gli occhi, afferrato il telefono di tua madre, chiesto a Siri di chiamarmi per dirmi che ti mancavo tanto e che non riuscivi a dormire, anche se sei partita solo da due giorni. Mi si è stretto il cuore e ho provato in tutti i modi a farti ridere, senza successo. Allora mi sono risdraiato a letto e ho cominciato a raccontarti di quanto manchi anche tu a me. Nel dormiveglia devo averti raccontato dei grandi esploratori, che sono uno dei miei cavalli di battaglia, del fatto che se non avessero afferrato a due mani il coraggio e affrontato la lontananza, non avrebbero fatto nessuna delle scoperte che hanno fatto e, insomma, di pensare che sto bene e sei sempre nei miei pensieri e che, a differenza dei grandi esploratori, tu puoi sempre prendere il telefono e chiamarmi o addirittura vedermi in videocall.  Devo averti tranquillizzata perché mi hai salutato come fai sempre quando mi saluti al telefono: dici “ok, ciao!” e attacchi senza aspettare il mio saluto di risposta. Ho appoggiato il telefono sul comodino. Il sonno era ormai passato. Ho allora afferrato il libro che ho accanto a letto e cominciato a leggere. È il libro che mi hai regalato per il mio compleanno, una graphic novel. Tua madre mi ha detto che lo hai scelto perché il tizio in copertina somigliava a me e la cosa assurda è che in ogni pagina che leggo mi ritrovo in maniera inquietante. Vado avanti per un po’ nella lettura, fino a quando volto pagina e trovo il tuo disegno piegato in due. Ci siamo io e te che ci teniamo per mano e sopra di noi campeggia un cuore giallo gigantesco che contiene la scritta “sei il papà migliore del mondo!”. Sorrido, mi commuovo un po’, penso ad alta voce: Tu sei la figlia migliore del mondo!